Nel romanzo che segna il suo ritorno dopo dieci anni di silenzio, Jamaica Kincaid, ormai lontana dai Caraibi, ci racconta la storia di un matrimonio – un matrimonio fiÂnito. Il suo, forse: l'epoca, la casa (nel Vermont), il marito (musicista), i figli (un maschio e una femmina), la professione della signora Sweet (scrittrice) corrispondono in tutto e per tutto alla vita reale dell'auÂtrice. Come sempre, tuttavia, la sua corrosiva, inconfondibile prosa è più estranea all'autobiografiÂsmo di quanto non appaia a prima vista: la stessa Kincaid ha del resto dichiarato che «il protagonista di questo romanzo è il Tempo». E si potrebbe aggiungere che un'auÂra mitologica e visionaria irradia da una narrazione che è come un'invettiva infuocata – e a tratti esilarante –, dove non a caso i figli della signora Sweet si chiamano Eracle e Persefone. Ma poiché la casa è "un carcere con la secondina dentro», la moglie "quella brutta strega arrivata con la nave delle banane» e il marito "così piccolo che a volte la gente ... lo scambiava per un roditore», ci renderemo conto, pagina dopo pagina, che la signora Sweet, proprio come la Xuela delÂl'AutoÂbiografia di mia madre, è soprattutto un'aÂbitante di quell'inferno interiore che Jamaica Kincaid sa raffiguraÂre in maniera inimitabile.