La pandemia del coronavirus impone un passaggio dâepoca. Come dâimprovviso, la linea del tempo si ÃĻ spezzata, e il presente ci costringe a girare pagina, a sancire una irrimediabile rottura con tutto ciÃē che ÃĻ stato fino ad ora. Il prima diventa davvero e definitivamente passato. Ma occorre stare attenti. Nellâinterrogare e interpretare le tracce, i segni, le memorie che il passato ci restituisce, non ci puÃē essere nessun sentimento di rimpianto, nessuna proposta di un insensato, peraltro impossibile, ritorno al tempo andato. NÃĐ a quello recente della ÂŦmodernità Âŧ, nÃĐ a quello piÃđ remoto della ÂŦtradizioneÂŧ. Si tratta piuttosto di provare a far tesoro del passato, riconoscendone gli errori, gli eccessi, le incongruenze, e insieme ripercorrendone gli elementi preziosi che abbiamo perduto, che abbiamo piÃđ o meno consapevolmente rimosso, nella nostra baldanzosa rincorsa di un benessere assoluto. Si tratta di ritrovare un equilibrio nel modo di vivere il pianeta che abitiamo, nel rapporto che instauriamo con la natura, con le altre specie, e in primo luogo con la nostra. Si tratta di utilizzare le conoscenze scientifiche e i progressi tecnologici al fine di soddisfare altre priorità : la cura delle malattie, il risanamento dellâambiente, la lotta alle diseguaglianze, lâeliminazione della povertà . Occorre, insomma, ritornare a pensare responsabilmente il futuro. Oggi la crisi ci restituisce lo sgomento di fronte allâimprevedibilità del contagio. Ma il coronavirus era davvero imprevedibile? E davvero non ÃĻ possibile prevedere lâimprevedibile? CâÃĻ un solo modo per prevenire le catastrofi: ÃĻ quello di pensarle come necessarie, di agire dando per scontato che esse prima o dopo arriveranno. Sforzarsi in tutti i modi di prevenirle. Accettando di buon grado che questi sforzi si rivelino inutili, se poi per caso le catastrofi non arriveranno.