In Abissinia

Adelphi Edizioni spa
E-kitob
231
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Questo libro avrebbe dovuto chiamarsi «War in Abyssinia». Buon titolo: asciutto, fattuale, esotico. Dell'Abissinia nel 1934 nessuno sapeva nulla, anche se il paese era l'unico stato africano cooptato nella Lega delle Nazioni e il suo giovane despota era un pupillo dei media – Uomo dell'Anno per «Time» nel 1935. Ma adesso di quell'immensa piantagione di caffè stava per impadronirsi l'ultimo arrivato nel circolo delle potenze coloniali: sì, la Grande Proletaria di Mussolini si preparava a invadere, e per ciò stesso a scatenare, nei timori di molte cancellerie, un conflitto globale. Ottima ragione per spedire sul posto un esercito di inviati – pericoloso quanto e più di quelli in armi, però, specie se forzato all'inazione. I centocinquanta «embedded» al seguito dell'esercito italiano erano infatti costretti a passare le veline dello Stato Maggiore, o riferire voci incontrollabili (i duemila morti nel bombardamento di Adua, che a villaggio raggiunto si sarebbero rivelati sei). Quanto a quelli aggregati agli etiopi, se ne occupava un irreprensibile addetto stampa indigeno, che fin dal primo giorno aveva promesso notizie di due soli tipi: false – o tendenziose. Dopo qualche settimana gli inviati erano accampati in pianta stabile ai tavolini da bridge. Tutti tranne il corrispondente del «Daily Mail», Evelyn Waugh. Povero Waugh, mette a segno addirittura uno scoop, e ne è talmente geloso da scrivere il pezzo in latino, certo che i colleghi sul posto non lo mastichino, e non possano scopiazzare. Così in effetti è, ma neppure i redattori a Londra hanno un curriculum classico all'altezza, e l'articolo passa dalla telescrivente al cestino. Conseguenze: la minaccia di un immediato richiamo in patria, ma anche l'improvvisa certezza che, spostando l'attenzione da un fronte improbabile al circo delle retrovie, il libro di cui sopra si scriverà da sé. Basterà guardarsi intorno e raccontare quello che si vede – e che contiene un tasso più che bastevole di surrealtà, e di intrattenimento. Poi certo bisognerà trovare un titolo nuovo, più aderente al non imitabile contenuto del racconto. «Waugh in Abyssinia», ad esempio.

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