Il Golem

Marsilio Editori spa
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Pubblicato a New York nel 1921, il dramma poetico in otto quadri Der goylem è fra le opere memorabili della letteratura yiddish. Fu messo in scena la prima volta in ebraico, a Mosca nel 1925, dal teatro Habima, di cui diventò presto, e rimane tuttora, uno dei cavalli di battaglia. La regia era di Boris Veršilov, che due anni dopo ne diresse la prima messa in scena in yiddish. L’opera si ispira all’antico mito dell’automa-Messia. In epoca tarda la creazione del Golem viene attribuita al rabbino di Praga Yehuda Löw ben Betsalel (Poznań, 1520 - Praga, 1609), detto il Maharal. Se però nella tradizione ebraica il Messia è sempre pronto a intervenire, nel dramma di Leivick il fantoccio di argilla non può mai essere pronto, cerca di ritrarsi dal suo compito, si rifiuta di vivere; con disperazione di bambino implora il suo creatore di lasciarlo fra le tenebre del non-essere. Nel Golem non trovano una risposta univoca i grandi temi da esso sollevati. Non sappiamo se l’esistenza del Golem sia considerata frutto della volontà divina o solo della hybris prometeica del Maharal; non conosciamo il significato della redenzione, non ci vengono fornite né una giustificazione né una condanna univoca dell’uso della violenza. Ma risaltano, in questo dramma tutto al maschile (come sostanzialmente maschile è la cultura ebraica tradizionale), ’immagine del rapporto fra il rabbino e il Golem, al contempo padre-figlio, Dio-essere umano, e la creaturalità smarrita, desiderante e priva di conforto del goffo pupazzo, vero emblema dell’uomo moderno.

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H. Leivick, pseudonimo di Leivick Halpern, nacque in Bielorussia nel 1888, nella cittadina di Igumen. La biografia dei suoi primi anni di vita è tipica dello shtetl: miseria e promiscuità, un padre insoddisfatto e manesco, la disciplina ferrea della scuola tradizionale. Quindi la yeshivà a Minsk, il cui direttore, illuminato, consentiva ai ragazzi lo studio della grammatica ebraica, materia laica. Durante la rivoluzione del 1905 Leivick aderì al Bund, il grande partito socialista ebraico, sovranazionale e yiddishista. Decise di abbandonare l’ebraico in favore del linguaggio delle masse deprivate: della letteratura yiddish sarebbe diventato uno dei massimi rappresentanti. Nel 1906 fu arrestato dalla polizia zarista e condannato a quattro anni di lavori forzati e all’esilio a vita in Siberia. Alcuni anni dopo fortunosamente fuggì dalla Siberia e nell’estate del 1913 sbarcò negli Stati Uniti. In America Leivick si trovò a fronteggiare situazioni lavorative e sociali durissime, descritte in alcune delle sue pièces più appresentate, come Shmates (Stracci), del 1921, o Shop, del 1926. Inizialmente vicino al gruppo di poeti yiddish modernisti Di Yunge, Leivick andò sempre più concentrandosi su miti e leggende del mondo ebraico. Dopo la Shoà, fra i poeti e gli scrittori yiddish negli Stati Uniti Leivick fu il primo a dar voce al senso di spaesamento e di colpa di fronte alla catastrofe, di cui molti suoi testi - fra cui il Golem - sembrano contenere inquietanti premonizioni. Morì a New York nel 1962.

Laura Quercioli Mincer insegna Letteratura polacca all’Università di Genova. Dallo yiddish ha tradotto Le mie canzoni di Mordechaj Gebirtig (1998) e ha curato un’edizione de Il Dibbuk di Sh. An-ski (2009). Ha al suo attivo fra l’altro le monografie Patrie dei superstiti (2010) e La prigione era la mia casa (2014).

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